Davide Lajolo La Cena di Alberto Sughi
«Sopra, nello studio inondato di luce le tue nuove tele stavano dipanando un racconto estatico e tragico: l'ultima cena di una borghesia consunta. La cena in piedi come usano i ricchi viventi e le cosce, la schiena della ragazza seminuda senza erotismi e senza vizio. Anche le farfalle si illudono di girare attorno al sole quando stanno estinguendosi nella luce mortale d'una lampadina artificiale. Quei volti, quelle mascelle mangerecce, stinte, le bocche aperte, le guance ridotte a mandibole. Sì, sì, l'ultima cena: conclusione d'un'epoca senza averne coscienza, anzi illudendosi di sopravvivere cinicamente, senza senso in gesti ripetuti da secoli. In quest'ultima cena — ecco perché sei pittore
che vieni da lontano, dal gorgo della poesia e della forza — c'è già il timore di un nuovo ordine padronale; altre prosopopee — le nostre — che vogliamo cambiare il mondo affossando il passato, tornando invece a ripetere una nuova prepotenza sterile e triste — di più — perché volevamo fondare l'ordine impossibile della totale libertà. Il tuo discorso va così più lontano, all'eterna contraddizione connaturata nell'uomo come mi diceva Mao a Pechino, una ricerca che non finisce mai, una balena bianca irraggiungibile, un Ulisse che sa il vano del suo navigare la vita e continua a immettersi nel mare aperto disperato e convinto che questo soltanto è avere fede nell'uomo».
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