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Mario De Micheli, Alberto Sughi, Per un'immagine non illusiva dell'uomo

 

Alberto Sughi, Personaggio immaginario, acrilico, 1969

"... E' intorno a questi temi e al loro significato che, nel '69, Sughi propone un'altra serie di immagini, le immagini del " prete " e quelle in cui, sempre in termini allucinati e oggettivi, riprende i motivi dell'erotismo e della violenza. Il tema del " prete " si confonde col tema della " vocazione sbagliata ", la vocazione sbagliata che può costituire il dramma di qualsiasi intellettuale. Giuseppe Raimondi, che ha dedicato a Sughi in più di un'occasione una attenta e acuta analisi critica, ha dato anche di quest'ultimo ciclo una sicura interpretazione: " Se confrontiamo il probabile ordine ", egli ha scritto, " più di apparizione che di cronologia della favola, si può incominciare dal grande quadro del prete, giovane di fede e di pensieri, impavido e luminoso nei tratti del volto, accompagnato dalla figura, dolorosa di eventi, della vecchia madre che gli sta alle spalle. Quadro di efficacia drammatica, quasi ritagliata dalla scena riapparsa di anonima azione teatrale, giunta a noi da un luogo di solitudine per così dire atlantica. Sembra alludere, da quelle rive fuori del tempo, ad un momento di intensa sospensione quasi shakespiriana di comune vicenda di uomini. In due varianti di motivata eccezione pittorica, è il quadro con il ritratto per così dire oggettivato, cioè il busto, tagliato all'altezza del petto, del 'prete', ma, nei due dipinti, con espressione e tratti appena modificati nel viso, del prete ancora in giovane età. Lo sguardo fermo, il volto di forte evidenza plastica, quasi di Ritratto romano dell'epoca repubblicana. In ambedue i dipinti, il busto, il 'ritratto vivente' è racchiuso dentro la scatola di cartone di un imballaggio. L'uomo guarda perplesso in un peso di malinconia. Simbolico imballaggio, simbolico carcere di cartone. Il volto tinto di violetto spento, la scatola è gialla, la riuscita è quasi di emblematica natura morta. Non meno di quella, solo natura morta, che contiene, quasi ex-voto offerto al dono della Fede, le scarpe di pelle lucida, le fibbie d'argento squillante, del predestinato Prete. Altro 'modello' di prete è quello, già anziano ma vegeto nel sangue turgido, del prete (forse divenuto monsignore) cui appare, sul capo di giusta Religione, l'immagine, il fantasma in ispessore larvale, della Donna. Il pensiero del Peccato estinto in preghiere. E quello dell'imbavagliato prete, fasciato in bende da mummia stranamente contemporanea, cui la vigoria della Missione sembra splendere nel cristallo di grosse lenti a stanghetta. La serie potrebbe continuare, e continua in altri esemplari. Ma alla fine in un lungo quadro, appaiono due cassoni, due casse di legno grezzo puntato dai nodi e dai tarli. Potrebbero essere stati imballaggi, ma non lo sono più. Una è priva del contenuto cui sembrava predisposta. Nell'altra, in luogo dell'essere già vivente: povera carne da ridursi in polvere, sono cresciuti dei fogliami di splendido verde. Sono le foglie della pianta dei ficus, che tante volte ha 'decorato' i quadri di Sughi ".

M. De Micheli

Tratto da M. De Micheli, Alberto Sughi, Per un'immagine non elusiva dell'uomo, Ed. La Gradiva, Firenze, 1971

 

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