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Mario De Micheli, Alberto Sughi, Per un'immagine non illusiva dell'uomo

 

Alberto Sughi, Personaggio immaginario, acrilico, 1969

" ... Ma il tema della solitudine ne portava un altro con sé, che ne è la diretta conseguenza: il tema dell'incomunicabilità: l'uomo e la donna che la convenzione sociale del matrimonio obbliga a una vita di stretti rapporti anche quando ogni rapporto è distrutto; o gli amanti, dove l'incomunicabilità è ancora più profonda, avendo radice sin nell'oscura disperazione dell'essere; gli amanti che nella ricerca di confondersi l'un l'altro, di giungere all'identità della passione, si distruggono in torbidi assalti; o gli amici, seduti vicini, nella luce di un giardino o nella pace serale di una terrazza, ma fissi, assorti, quasi sigillati nel proprio silenzio, nella propria muta, invalicabile frontiera di inibizioni. Questi due temi, così collegati, proseguono nel '65 con uno sviluppo formale che spinge Sughi a inserire i suoi personaggi in spazi più vasti, come si può vedere dalla serie degli Uomini alla finestra o degli Uomini in poltrona. Ma è pure a questo punto, che Sughi sembra ritornare improvvisamente al tema politico. Si tratta dunque di una interruzione ali/interno del suo flusso creativo? Non penso che si debba rispondere affermativamente a una simile domanda. Si ricordi la sua confessione a proposito della presenza di un uomo di potere che sta " dietro ", che " non rispetta le regole ", che fa scrivere " le notizie sui giornali " e le " scritte sui muri inneggianti alle guerre "... Ebbene, è questo uomo di potere, sono questi uomini, che Sughi dipinge improvvisamente nel '65. Egli sa che neppure il più recondito segreto esistenziale è privo di propaggini verso la vita sociale, sa che la pura esistenzialità non esiste, sa, e s'è già visto, che il destino esistenziale è inseparabile dalla storia. Questi nuovi quadri non costituiscono quindi una interruzione, bensì il tentativo di stabilire il rapporto fra i due termini. Ognuno di noi ricorda le confuse voci circolanti a quel tempo su misteriose manovre che si conducevano in ben localizzabili sfere politico-militari per forzare il corso del Paese verso soluzioni autoritarie. E' a questa oscura " materia " eversiva che Sughi, appunto, ha dedicato il trittico intitolato Ora storica e un quadro come Politici al ricevimento. Le facce che si vedono in queste opere ci appaiono vagamente familiari, ci sembra di riconoscerle per averle viste più volte nei cine-giornali o sullo schermo televisivo a tagliare nastri, a metter prime pietre, a fare discorsi... Sono personaggi che si fanno cenni d'intesa, che si sussurrano all'orecchio, che s'abbracciano confidenzialmente, che hanno sorrisi enigmatici o un'inquietante fissità. Su tutti ne domina uno: il personaggio che sale allo scanno di una simbolica presidenza e, con gesto possessivo, s'infila una toga, emblema del potere subdolamente conquistato. Anche tutto questo dunque ha fatto parte e continua a far parte della nostra storia politica come un persistente pericolo di violenza che incombe e che per tramiti oscuri raggiunge e contamina lo spazio in cui trascorre e respira anche la nostra personale esistenza. Dipingendo tali quadri, Sughi non rinunciava perciò alla sua tematica, sviandosi in una direzione diversa, bensì ne ricercava razionalmente una delle sue componenti, una componente causale. Il tema della solitudine e dell'incomunicabilità proseguiva quindi oltre queste opere, assumendo in più un'ulteriore nozione, quella dell'assenza. Da principio tale assenza si tradusse nella fantomaticità, nella spettralità, nelle parvenze sempre più labili e friabili di nuovi personaggi, uomini e donne erranti o presi in strani giochi. Erano personaggi al limite di svanire nel nulla, mentre, di contro alla loro labilità e friabilità, prendevano invece una totale consistenza, una precisione eccezionale d'esecuzione, gli oggetti fra cui tali personaggi si muovevano: lampadari, poltrone, cornici, mobili. Sughi ormai, da tempo, era ritornato a Cesena. E forse qui, progressivamente, la solitudine della provincia gli era incominciata ad apparire ancora più incolmabile, più tangibile e concreta. In questa .situazione gli oggetti soltanto, nella loro ingombrante materialità, avevano una vera esistenza. Gli oggetti che poi erano il frutto proibito e desiderabile della società dei consumi. Che cosa c'è di più solo di un uomo assediato da una trincea di " prodotti " di serie? Eccolo dunque l'uomo, come un Cristo deriso da questi nuovi, volgari, anonimi, funzionali nemici. Ed ecco le case confortevoli, ricche, bene arredate, dell'agiata borghesia provinciale. In questi appartamenti, per queste stanze, su queste rigonfie poltrone/chi sta e chi si muove? Fantasmi, " uomini vuoti " direbbe Eliot. E Sughi infatti arriva a dipingere soltanto degli abiti, delle giacche, dei pantaloni. Gli uomini che dovrebbero indossarli sono scomparsi. I vestiti " stano seduti ", " stanno in piedi ", si " comportano " come se fossero abitati, ma in realtà non lo sono: sono vestiti " deserti ". La pittura diventa esatta come non mai, ma è proprio in virtù di una tale scrupolosa esattezza che vien data più forze} all'allucinazione. Una punta metafisica sembra insinuarsi in queste opere, tuttavia è chiaro che il loro "contenuto" non è metafisico: è, al contrario, un contenuto reale, riferendosi, appunto, alla condizione reale che rende " irreali " i personaggi per l'usura a cui li sottopone."

M. De Micheli

Tratto da M. De Micheli, Alberto Sughi, Per un'immagine non elusiva dell'uomo, Ed. La Gradiva, Firenze, 1971

 

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