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Alberto Sughi

Una lezione diPittura (1974)

Eravamo in aperta campagna, in una giornata d'inverno bianca e azzurra di neve e di sole. Otello aveva piantato il suo cavalletto di pittore sul punto più alto della collina e guardava tutta la distesa sottostante con occhi attenti e grande concentrazione. lo gli tenevo la cassetta dei colori e guardavo con lui il paesaggio, poi osservavo i suoi occhi per cercare di capire cosa volesse vedere. Era evidente che stava facendo una specie di traduzione: gli alberi e la neve, il fiume e le colline si stavano, nella sua mente, trasformando in eccitazione di colori, di forme e di ritmi.

Mi prese la cassetta dei colori e mentre ne tirava fuori la tavolozza mi parlava: "Mi sembra un bel taglio, forse si può fare un bel quadro; fare un paesaggio con la neve non è facile, ti sembra tutto bianco ed invece è pieno di colore. Quando cominciò a stendere i colori scegliendo i tubetti con le sue grandi mani, mi diceva: Prima si mette il bianco poi il giallo ocra la terra di siena naturale e poi quella bruciata, la terra d'ombra, il rosso Pozzuoli... sono i colori, Alberto, che adoperavano gli antichi maestri; sono quasi tutte terre naturali, con questi colori si può dipingere tutto; ed ecco la terra verde e per gli azzurri mettiamo il cobalto e l'oltremare e da ultimo il nero vite.

La tavolozza era pronta, profumata di colori; sembrava che in lei già si specchiasse tutta la natura che ci circondava; Otello l'impugnava saldamente con la mano sinistra; intanto con la destra cominciava a graffiare la tela con un carbone: "Bisogna cogliere le linee principali del paesaggio, sapere riconoscere il movimento di queste colline senza farsi distrarre da quei particolari che potrebbero indebolire la struttura. E' sempre meglio avere un sentimento dell'insieme, essere larghi nel disegnare piuttosto che triti: non bisogna cincischiare in pittura".

Poi cominciò a dipingere; il suo bel viso era sereno, i pensieri che aveva raccolto nella sua mente durante la lunga e attenta osservazione sembravano sciogliersi nei colori che velocemente si stendevano sulla tela. Era come assistere ad un lavoro magico di tessitura: ogni pennellata si intersecava con le altre dando vita a quella trama da cui misteriosamente nasce l'immagine della pittura.

Le pennellate divennero più rare, i tocchi più leggeri accompagnati da un movimento del pittore che reclinava il capo ora su una spalla ora sull'altra avvicinandosi e poi allontanandosi dalla tela quasi volesse capire se ci fosse qualche punto da definire meglio... 'Lo lascerei cosi, se c'è ancora qualcosa da aggiungere lo vedrò poi a casa; è fresco, dipinto tutto di prima; bisogna stare attenti a non fare insordire i toni dei colori. Mi pare poi che ci sia una certa poesia". Distolse gli occhi dalla tela e mi guardò, felice della mia espressione ammirata. "Ti piace Alberto?" "E' bellissimo" risposi. Lui sorrise e intanto che chiudeva la cassetta appoggiata sulla neve mi disse con amore: "Un giorno tu ne farai di più belli".

In quel pomeriggio d'inverno io presi la prima e fondameritale lezione di pittura della mia vita. Io avevo allora quattordici anni, mio zio Otello Magnani ne aveva trentacinque.


Alberto Sughi Una lezione diPittura (1974)

 


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