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Antonio Russo :

Lettera ad Alberto Sughi.

 

Alberto Sughi mostra ad Antonio Russo il suo dipinto La morte del Padre, parte del ciclo Immaginazione e Memoria della Famiglia:

Roma Studio del Circo Massimo, 1981.

Caro Alberto,

una tua nuova mostra a tema "Immagini d'una famiglia", mi spinge a scriverti una lettera, che vuole essere soltanto un prosieguo delle tante idee che ci siamo scambiate l'un l'altro du­rante più di venti anni d'intensa amicizia e di stima.

Mi vien naturale di dirti che questa é ancora una volta una ricerca che continui sulla società per quegli aspetti di essa che maggiormente hanno colpito la tua sensibilità di uomo artista, ma ora, più che mai. ti rivolgi alle gradici ed ai motivi più profondi del nostro essere, e del re­sto tu stesso lo dici in questa occasione quando affermi che ciascuno di noi può ritrovare il senso reale di sé stesso nella più lontana memoria del passato che ci riguarda.

"La Famiglia" fa seguito alle varie tue mostre a tema come "Immagini di una prostituta". "La classe dirigente" . "Paesaggi di Romagna", "L'Uomo nella società dei consumi*. "Nascita e morte di una vocazione", 'La cena"; e ne era già nata l'idea alcuni anni fa, subito dopo la tua mostra che tenemmo alla Gradiva di Firenze "La cena* , col titolo "La coppia', che poi mi sembra, giustamente, hai trasformato in una più aderente verifica dei nostri problemi più pro­fondi ne "La famiglia .

Qualcuno ha parlato di te come del Fellini della pittura e mi sembra che Dario Micacchi ne faccia cenno nella sua presentazione critica a questa mostra, che a mio parere, é forse qualita­tivamente la più realizzata del tuo ormai lungo iter di artista.

Mi sia concesso di dire per quelle immagini che ho presenti dei quaranta Studi e dipinti eseguiti per questa mostra so bene quanti ne hai distrutto e cancellati prima dei definitivi in circa due anni di lavoro che la menzione del Fellini può reggere come concetto generico del tuo realizzare mostre e terni quindi ad esse inerenti nella ricerca dei latti della società, inse­rendovi sempre te stesso quale uno degli attori medesimi, ma e meno aderente al vero del pa­ragone quando si confrontino le immagini nelle sequenze delle scene felliniane e quelle dei tuoi dipinti. Di Federico Fellini ho profondamente impresso due momenti finali di due films che considero fra i più belli realizzati da quell'artista: ne "La dolce vita" la sequenza finale

mostra, se ben ricordo, una bimba che va verso il mare e l'idea che se ne ricava é di speranza; ne "La strada", la scena finale mostra Zampano che, nel pianto disperato, ritrova pur la ma­niera di riscattare sé stesso. L'angoscia é sempre in Fellini mitigata attraverso il dolore e le prove più penose e crudeli che la vita riserba ai mortali, dal potersi riscattare con la speranza di un mondo migliore e dal ritrovamento di sé stessi.

Più disperanti mi appaiono invece certe conclusioni di alcune tue mostre a tema e cito per esempio "La storia di un prete" che termina con la raffigurazione di una bara ove giace una palma o questa stessa mostra ''La famiglia", ove il dipinto conclusivo "La morte del padre" é fonte di angoscia indicibile per tutti i personaggi che vi sono rappresentati, la bimba triste ed atterrita, la donna che é alla porta, dal viso indurito e rassegnato, la giovane donna dal cui vol­to emana più che la sofferenza un gelido distacco da tutto. Vorrei dire per questo dipinto ulti­mo che persino la materia da te adoperata é scarna e disperante.

Ma gli argomenti dei quali vorrei dirti per quanto concerne la mostra, sono di varia natura.

Il primo dei quale ti ho fatto cenno, quando parlammo di una tavola rotonda sulla mostra da tenere nel corso dell'esposizione, riguarda la psicanalisi, per quell'apporto che questa disci­plina può dare genericamente al problema cosi universale della famiglia ed alla maggiore com­prensione anche delle immagini e dei loro meno apparenti significati per quanto vuoi dire e ti riguarda.

Mi dicesti allora che forse io stesso potevo avere gli strumenti per chiarire con buon succes­so certi aspetti dei dipinti e della questione in genere. Ma credo che tu abbia sopravvalutato le mie possibilità, Io sono soltanto una persona che ha fatto una lunga analisi personale nel ten­tativo di capire di me ciò che era possibile capire.

Quello che mi sembra evidente dalle immagini da te raffigurate (ma non so' quanto ciò pos­sa interessare la sostanza della mostra) é anzitutto una affannosa ricerca d'amore da parte tua nei riguardi della figura materna e di un rapporto ambivalente con un giudizio piuttosto seve­ro e distruttivo a livello inconscio, della figura paterna. Non vi é dubbio che nei bimbi da te rappresentati nella sequenza delle opere domini lo sgomento, la perplessità e soprattutto la paura. Ma ritengo che questo sia argomento troppo complesso ed irto di pericoli, d'altra parte non essenziale per la mostra, perché valga la pena di soffermarcisi troppo. Vale la pena di dire invece che la psicanalisi può darci un contributo determinante nella lettura delle opere per precisare la conoscenza più esatta degli uomini che agiscono quali artisti; e per questo basta ricordare gli scritti di Freud su Leonardo e Michelangelo (a proposito di quest'ultimo un va­lente psicanalista faceva notare come lo sguardo della Madonna sia rivolto mai verso il figlio e guardi sempre altrove meno che nella prima versione del tondo con bimbo), nonché i numero­si scritti di Kriss e Gombridge sulle espressioni nelle arti figurative.

Più invece pertinente a ciò che ci riguarda mi sembra il dirti come nella qualità delle mate­rie che adoperi e del segno che le circonda vi sia il manifesto segnalarsi d'un tuo proseguire incessante dai lontani tempi del Portonaccio nel precisare una tua inconfondibile personalità, che a modo di vedere di un mercante che segue da 42 anni le vicende dell'arte, con il gruppo del Pro e Contro e con artisti come Attardi, Vespignani, Guerreschi, Bodini, Ferroni, Vangi, Perez, Muccini, Vaglieli, Calabria, Banchieri, Cremonini ed alcuni altri della generazione me­dia, ha dato forse il contributo più alto al rinnovamento e alla riscoperta in chiave esistenziale di una neo-figurazione.

Tratto da, Antonio Russo Lettera ad Alberto Sughi, in Alberto Sughi: Immaginazione e Memoria della Famiglia (Roma 1981)

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