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Giuseppe Raimoni

La Cena di Alberto Sughi

Sono giornate nelle quali, in questo inverno feroce, trascorro qualche ora con i personaggi, cioè i modelli immaginati e poi dipinti da Sughi nei quadri della serie, del gruppo che si intitola La cena. Con questi personaggi ci conosciamo abbastanza. Mi basta, sfogliando il mazzo delle fotografie fornitemi dal pittore, per riconoscerli alla prima occhiata. A parte quello che Sughi medesimo da tempo, da settimane e forse da mesi mi racconta con la sua voce ansiosa e incalzante, sulla nascita e vicenda di ogni persona qui raffigurata, sul destino, la funzione ad esse riservata. Si tratta di decine di persone, di uno stuolo di esseri umani, i quali si dispongono a rappresentare la loro parte in questa storia che le unisce insieme. Ogni quadro o dipinto sta a sé; cosi i personaggi appaiono dapprima come diversi. In verità è un legame di sangue, di parentela che li lega per il tempo di questa vita provvisoria che il pittore ha loro destinato. Al punto che il signor X, del tale dipinto, avrebbe potuto far parte della scena di un altro quadro incluso nel gruppo.

Sta di fatto che Sughi, cavandosele dalla coscienza o dal ricordo, dai sentimenti provati in certa occasione, Sughi, dicevo, ha concepito l'esistenza, diciamo terrena di tanti uomini e donne, a cui ha dato esistenza col mezzo della pittura. Noi, adesso, ci troviamo in cospetto di questa dura e strana umanità cui Sughi ha dato un volto, un modo di comportarsi, e di essere, come partecipi ed esponenti di una comunità sociale.

È possibile nell'osservare i modelli creati dal pittore, le loro positure o i motivi dei temi in cui sono impiegati dall'ambiente che li circonda, è possibile notare che si tratta di persone di non comune commercio. Potrebbe essere abusivo e non corrispondente alla realtà il supporlo. Ci basti prendere nota dello stile, dei gradi di intensità pittorica, i tratti apparenti del carattere, i movimenti del loro corpo, le pose, le azioni che il pittore ha immaginato per dare alle persone l'apparenza di esseri viventi.

Come dicevo, sono uomini e donne. In quanto alle figure femminili, come nel singolare dipinto della Giovane cameriera col grembiulino bianco, i due piatti in mano e i capelli acconciati a turbante, personaggio di garbo giovanile, tuttavia anche in questa, come nell'altra figura, dove una donna si avanza dal gruppo dei convitati quasi offrendo i suoi seni scoperti, pure nella freschezza di questo corpo di bella giovane si direbbe che un destino uguale le tiene come sospese in un'età fuori del tempo. Si mostrano e noi le vediamo, come ci accade di intravedere, in talune poesie d'amore di Baudelaire, queste apparizioni simili a delle creature riservate più al rimpianto che alla felicità di vivere.

Ci sono poi le donne non più giovani, in questi dipinti allegorici, un'età di mezzo. I loro visi sono senza pietà, quasi in essi brilli la stella notturna di un odio nascosto per la vita trascorsa con la gioventù. Volti come dei terreni voltati e rivoltati dall'aratro del tempo. Avvallamenti e soprattutto ispessimenti di una sostanza calcarea, anziché di carne umana. Profili di animali, ippogrifi, teste lunghe di cavallo inutili e sterili. Gli occhi sono vecchi e lubrici, le bocche come calze rattoppate. Per un famoso maestro del ritratto femminile, come è Sughi, bisogna pensare che egli tenesse in cuore una tale riserva di grinte maligne, da utilizzare solo in questa occasione. Questo spettacolo che ci lascia un fondo di tristezza dalle parti del cuore.

In quanto ai personaggi maschili, le loro categorie sono infinite nell'espressione dei visi. Occhi opachi di ferocia fredda, le guance soppesate, il mento volgare e le dissimili bocche appena baffute e specchianti nelle dentature lucenti. Teste ben tenute, scriminature ringiovanenti come quella del signore che ha un nulla, una piuma del caso, sporgente dalle labbra socchiuse. E i colori così presuntuosi nelle loro calvizie. Ma del resto, poiché l'abito ha sempre fatto il monaco, basta tener conto del taglio, spesso buono ma non sciolto, dei loro abiti di borghesi distinti. Il carattere sociale, i giusti principi dell'ordine si leggono sulla trama di quelle stoffe piene di dignità e di rispetto.

Che miriade di ritratti umani, o meglio sociali, si avanza dalla serie dei dipinti di Sughi per gli scenari della sua Cena. Il titolo di Cena è messo a ricordare che, fin dal principio, all'esperimento del primo quadro della serie, forse sei mesi or sono, era già imposto come tema quello appunto di queste persone che, nell'angolo di una sala privata piuttosto signorile, stavano consumando, se non una cena, almeno uno spuntino servito dalla governante di casa, e da una non precisata ospite o persona di famiglia che, come frutta per lo spuntino, reca due perfette mammelle, quasi si proponesse di deporle sul piatto che ha in mano. Del che gli invitati impassibili sembrano quasi non accorgersi, i baffi, spruzzati come hanno di salsa alla maionese. Abbiamo dato qualche particolare della commedia, anzi del « commedione » in pittura di Alberto Sughi.

Una galleria di personaggi insoliti, direi, come si vede, fermati nell'atto di compiere azioni abituali ma rappresentati scrupolosamente, meccanicamente, per quello che il loro essere più privato induce a raccontare. E il racconto si svolge senza tregua, senza pietà all'interno di un'umanità, più che stregata, direi, anomala, e indifferente di un cosi completo congelamento, agghiacciamento dei normali sentimenti del cuore, quasi ridotti alla condizione di statue, di manichini che fingono la verità della vita. Siamo forse pervenuti nelle sale, nelle stanze di un paradossale Museo Grévin destinato alla riproduzione delle persone, dei personaggi del nostro tempo di pesante alienazione sociale?

Il pittore, per parte sua, non ha lesinato le invenzioni del tratto, le sottigliezze formali della sua arte. Si trovano ad ogni passo ritratti, volti e visi di una forte potenza realistica e spontaneità nella resa plastica. Pittoricamente parlando, cavati da una materia di straordinaria scioltezza e solidità insieme. Come, ad esempio, quella testa di Giovane donna, si direbbe di razza italica e antica, nel modellato di ombre e luci del suo profilo, denso in un'assorta meditazione e riposo solitario che, ogni volta a rivederlo, mi riporta al modo e tono ritrattistico dei famosi dipinti romani del Fayum.

Si tratta invece semplicemente della sincera espressione poetica in pittura ritrovabile cosi in un antico modello, come in un passo di Gustave Courbet, e di tanti tra l'antico e il moderno, per i quali la realtà dell'oggetto sia raggiunta con invenzione e segno di diretta creazione spontanea.

Sono anni che seguo il lavoro di Sughi. Cosi, nel passato (tutta la vita), quello di altri artisti miei contemporanei. Il rapporto con Sughi, devo confessare, è forse fondato su qualcosa, come un'affinità di carattere situata nelle pieghe riposte del nostro temperamento di uomini, a parte il divario vistoso delle rispettive nostre età. Lungo il percorso dell'arte di Sughi sempre mi ha colpito l'interesse, in lui, dell'occhio e della mente di pittore per le « ragioni interne » delle figure che appaiono nei suoi dipinti, e, più di recente, la tendenza a raffigurare più persone riunite insieme per un medesimo scopo. L'occhio di Sughi corre sul volto dei suoi modelli, e talvolta va verso il cuore dei suoi contemporanei.

Penso che in particolare la cosa si sia precisata nei quadri qui riuniti sotto il titolo complessivo, sotto l'insegna di La cena.

Bologna, Febbraio 1976

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