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CSAC,
Universita' di Parma

ALBERTO SUGHI
di Arturo Carlo Quintavalle

 

Alberto Sughi ha costruito negli anni una strada nuova nella pittura. Certo ha saputo voluto scegliersi una via molto diversa dalle altre, e anche se ha sempre dialogato con gli intellettuali legati al realismo; ma anche se ha lasciato che interpretassero le sue opere sempre attraverso i contenuti e non le scritture che sono quelle che danno il senso ai contenuti, pure ha sentito la i importanza di un percorso di ricerca che non fosse subalterno ad altri., certo, e, come ha riconosciuto nella intervista, la esperienza di Guttuso, nei tre anni di soggiorno a Roma, è stata importante, come lo è stata anche quella fatta insieme al gruppo del Portonaccio, ma subito le strade si sono divise. E’ vero, Sughi e Vespignani e Ferroni e Banchieri si sono incontrati a Milano agli inizi degli anni ’60 per una serie di mostre e a volte Sughi è stato ricondotto al Realismo Esistenziale, una formula felice che ha identificato un gruppo di pittori certo realisti ma attenti, aperti al nuovo. Se Guttuso e il Partito Comunista escludevano dal mondo dell’arte Eliot e Bacon e Beckett e la pittura astratta e la pop americana, Sughi, allontanandosi da Roma, ha costruito un discorso molto diverso. Il dialogo, prima di tutto, con le altre esperienze, con altre ricerche, e poi la consapevolezza della complessità di ogni vicenda pittorica e la necessità di dipingere in modo nuovo, fuori degli schemi, fuori del cubismo analitico o sintetico e fuori dal realismo, anzi dei realismi e soprattutto fuori dei realismi post- zdanoviani.

E’ difficile ricostruire le fasi della ricerca pittorica di Sughi perché gli interpreti della sua pittura la hanno in qualche maniera omologata la linea del realismo, ma non ci vuole molto a comprendere che gli inizi di Sughi sono stati molto diversi, e abbiamo provato a ricostruirli; il dialogo con gli artisti molto diversificato, da Torino a Roma a Milano dalla Germania agli Stati Uniti; pochi i nessi con il realismo ufficiale di marca sovietica o tedesca degli anni ’50, sensibilità invece per le avanguardie, quelle pittoriche dell’Espressionismo Astratto americano e dell’Informale europeo; consapevolezza delle filosofie della esistenza e dunque anche di una grande crisi intellettuale dell’occidente, quindi ricerche puntate sugli artisti che esprimono questa crisi, come i pittori inglesi da Bacon a Sutherland, ma senza dimenticare, per la messa in scena delle proprie pitture, il dipingere di Hopper, e in genere della pittura americana degli anni ’30, e la dimensione onirica di certo Otto Dix o del primo Grosz o di Beckmann. Certo, pittori impegnati a sinistra, ma per Sughi questo impegno, che vi è sempre stato, vuole dire anche scandagliare la realtà umana e proporla in altre forme, con altri linguaggi. Dove e come quindi dipingere il tempo se non utilizzando de Chirico e Magritte, per non dire de “L’isola dei morti” di Boeklin, oppure le sospese atmosfere di Max Klinger o ancora le terribili, scavate figure di Egon Schiele? Tutto questo fa comprendere come le letture di Sughi non sono state quelle della ideologia, ma semmai il romanzo e il romanzo realista ottocentesco, ma anche il teatro dell’assurdo, dunque il teatro dove gli eventi non esistono ma semmai le attese, dove gli spazi non esistono se non in funzione di gesti, dove le persone non si incontrano ma si attendono, come in Aspettando Godot di Beckett (1952) o in Giacomo o la sottomissione (1955) oppure ne Il rinoceronte (1959) di Ionesco. Le attese, i non eventi, lo spazio vuoto dell’esistere, le difficoltà di operare nel mondo degli oggetti, l’isolamento delle persone, tutto questo è nel teatro degli anni ’50, è nella riflessione esistenziale di Jean Paul Sartre prima della conversione al marxismo, ed è anche, sia permesso scriverlo, nella pittura di Alberto Sughi.

In fondo se si riflette sulla sua ricerca si scopre che,rispetto a tante altre di pittori realisti ormai ai margini del dibattito,essa resta ancora molto attuale, e questo forse perché proprio la camicia del realismo va stretta ad Alberto Sughi, e gli si adatta semmai un altro genere di definizione, quella di un grande narratore del nostro tempo che usa i mezzi della ricerca più avanzata, e dunque non quelli tradizionali del realismo, per esprimere non solo questo disagio ma anche un grande messaggio positivo, sulla storia della pittura come fonte inesauribile di nuovi stimoli, e sulla necessità di collegare insieme la pittura al di qua e quella al di là dell’Atlantico, senza contrapposizioni, senza steccati. Sughi, lo abbiamo veduto, è un grande narratore, ma è insieme anche uno dei pochi pittori di oggi che sappia raccontarsi, e in questa direzione gli sono accanto Gioacometti, Bacon, de Kooning e una scultrice la Richier. Prima certo ci sono molti altri, da Dix a Schiele, da Gosz a Beckmann, ma tutti questi sono stati troppe volte appiattiti da una lettura semplicemente sociologica; forse cogliere dentro di essi, e in Grosz e in Dix in Schiele e in tanti altri,una capacità di dare forza al loro segno attraverso il peso delle citazioni dalla grafica tedesca del ‘400 da Schòngauer a Dùrer potrebbe aiutare a far capire quanto pesi la storia della illustrazione nella idea degli spazi che Sughi ha saputo costruire, anzi inventare, quanto dunque le figure di Gustave Doré e quelle di Daumier abbiano giocato nella costruzione dei grandi,assurdi vuoti che circondano le figure di Sughi e, più ancora, quanto la idea di inventare un ciclo, molti cicli litografati o incisi attraverso una sequenza di tavole, abbia suggerito a Sughi la idea di dipingere per serie, per sistemi di dipinti collegati, come un enorme sistema narrativo, come un romanzo.

Per questo Sughi è un grande narratore, non un grande narratore realista, anzi semmai un narratore che riesce a sublimare la scrittura apparentemente realista attraverso le grafie nuove della astrazione o comunque scritture diverse, che permettono di comprendere meglio ogni storia. Quelle dei cicli dipinti, le altre dei cicli disegnati, litografati, incisi. In fondo quella di Sughi è l’arte del romanzo, ma di quelli confessione, di quelli che scavano nel profondo: così la tradizione del racconto legata al mondo post-viennese della psicoanalisi credo possa aiutare a comprendere Sughi, però più Kafka o Musil che Thomas Mann.

  • Tratto da Arturo Carlo Quintavalle: Alberto Sughi (Ed. Skira collana CSAC, Gennaio. 2006)

Alberto Sughi nei volumi SKIRA

Volume pubblicato in ocassione della mostra di Alberto Sughi nella Collezione CSAC, Parma Salone delle Scuderie n Pilotta, 21 Dicembre 2005 - 22 Gennaio 2006


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